Spesso, quando selezioniamo i partecipanti per gli Scambi o i Training, ci vengono chieste cose del tipo “ma con la mia Laurea/il mio Corso di Studi… io posso partecipare a questo progetto?”.
“Erasmus+” è un programma molto vasto. I progetti di Scambi, Training, e anche di Volontariato Europeo, si basano tutti sull’Educazione non-formale e sulla motivazione personale dei partecipanti! Non sono solo per studenti, anzi… in molti progetti bisognerebbe agevolare chi non ha potuto, o non può studiare, per offrirgli l’opportunità di sviluppare skill e competenze.
“Erasmus”, invece (senza il più finale)… quello sì è solo per studenti! (grazie mamma Europa per aver creato sto casino!!!)
La lingua inglese può essere un ostacolo… ma non insormontabile 😉 (ci torneremo su).
“We are sailing the same sea” – chosen as the motto of the program by the participants, embodies the engagement towards Project’s Kins(wo)men, hosted by the NGO, SMIT “CREATOR” based in Krakow, Poland. The event aimed to involve participants from a wide range of cultures and regions (Algeria, Cyprus, Egypt, Tunisia, Jordan, Morocco, Ukraine, Poland, Hungary, Italy, Greece) in order to build new networks, connect not just professionals but also their organizations and inspire youngsters in their common purposes. The possibility to share the best practices developing real engagement brought together twenty-four youth workers for a contact-making event in Murzasichle.
The non-formal education methods introduced during the project, provided possibility to create new projects within the Erasmus+ program. The participants took the chance to build new relations between different NGOs, to share the best practices within their local communities for a purpose of further development. Through intercultural programs the youth workers were exposed to new tools, methods as well as had the chance to work in multicultural environment, requiring and developing skills such as tolerance, empathy, communication and mutual understanding. Enjoying the given project is always a crucial part of the meetings, thus getting to know the local environment and culture of Polish highlands.
“The project was useful for the development of my project management skills, as well as for networking.” – mentioned by one of the Italian participants, Anita. Another Egyptian member of the team summarized, that he gained inspiration for the future projects, which was also one of the goals of the gathering. “During the project we had the opportunity to look for solutions for common problems each one of us is facing in our own communities.” – highlighted Rafaela from Greece.
Learning mobility projects of youth workers always support and focus on professional development, with different tools and methods. The transnational activities, as for example the described contact-making event, strengthens the quality and the role of youth work in Europe and raising motivation for further projects all around the world. It is important to see how such projects provide possibility to make changes in local communities in the fields of education, training, youth and sport.
The Project’s Kins(wo)men between 22nd-28th of September 2017 gave a unique opportunity to youth workers to gain knowledge, then return to their home countries to share the experience, skills and extend the success of the international Erasmus+ program on local levels.
un anno fa, il 31 Agosto 2016 nasceva l’Associazione più bella e più figa dell’Universo.
Di quest’anno di costruzione ricorderemo i tanti, troppi momenti di scoramento, e quante volte, come tutte le start-up, ci siamo sentiti fragili e sul punto di mollare.
Verso la fine, però, le buone notizie sono iniziate ad arrivare, come la Cavalleria nei film western, a sollevarci di spirito.
E allora aver resistito col coltello tra i denti ha avuto improvvisamente senso.
La gioia di vedere i propri sogni iniziare a prendere forma, dopo aver temuto cha andassero in pezzi, è stata indescrivibile.
[voi li chiamate progetti, noi preferiamo sogni]
Siamo più innamorati e più testardi che mai.
Buon compleanno a noi!
La visita rientrava in progetto di più ampio respiro, “Towards collaborative practice”, ed essere stati selezionati per rappresentare l’Italia a Bristol per noi è stato un onore, oltre che un vero piacere. Lo scopo della visita (per quanto ci riguarda, abbondantemente raggiunto) era far conoscere nel dettaglio ai partecipanti diverse realtà dell’Impresa Sociale inglese, con una serie di incontri con realtà locali mirati ad approfondire diversi aspetti legati alla sostenibilità, all’impatto, all’organizzazione aziendale.
Un’esperienza che ci ha fatto molto bene… e che, pensiamo, avrebbe fatto un mondo di bene anche ad altri nostri connazionali. Purtroppo, stavolta siamo stati gli unici Italiani a prendere l’aereo per l’Inghilterra, e questo ci spiace. In una galassia no-profit ancora per buona parte attaccata alle sottane di Comuni, Regioni e Fondazioni, sicuramente qualcuno avrebbe potuto toccare con mano come, all’estero, le NGO e le Imprese Sociali riescano spesso a raggiungere grandissimi impatti sulle categorie più deboli e ottimi livelli d’innovazione, senza dipendere dalle elemosina pubbliche.
Alcune di queste “Buone pratiche” ce le porteremo nel cuore. Ve le raccontiamo qui sotto.
1. Ricostruire vite
La nostra prima visita, direttamente nella Sala Conferenze dell’Hotel, ce la fa il Direttore Esecutivo di Bristol Together, una Impresa Sociale che crea lavoro per ex detenuti. Il loro motto dice già tutto: costruiscono case, ricostruiscono vite.
La loro attività principale consiste nel ristrutturare case e palazzi, impiegando come manodopera ex detenuti, a cui offrono, oltre ad uno stipendio mensile che nessun altro gli darebbe, una mentorship continua ed una formazione professionale nel campo dell’edilizia altamente spendibile nel mondo del lavoro.
Il risultato? I loro “uomini migliori” se ne vanno… per lavorare al doppio dello stipendio presso Imprese Edili di tutto rispetto. Una volta responsabilizzati e indirizzati verso una professione e un nuovo stile di vita, il tasso di recidività degli ex detenuti impiegati da Bristol Together è davvero molto basso.
Non è un percorso veloce (in media, ci vogliono 4 anni per un ex detenuto per “abituarsi” al nuovo stile di vita), né facile: però funziona.
Considerando il costo che ha per lo Stato un solo detenuto non recuperato alla società civile, e dunque serialmente recidivo (parliamo di qualcosa come 70.000£ all’anno), l’Impatto Sociale di Bristol Together risulta talmente… devastante, che molti privati hanno deciso di investirci, in cambio di un ROI decisamente più basso del solito (3-4%) ma dal valore sociale inestimabile.
Triodos si definisce una “banca sostenibile”. La loro missione è fornire ai propri clienti gli strumenti finanziari per creare una migliore sostenibilità ambientale e sociale.
L’ambiente, in effetti, è piuttosto differente dalle Banche cui siamo abituati: tutto, dagli arredi ai controsoffitti, è realizzato con materiali eco-sostenibili, e nell’ingresso fanno bella mostra di sè i prodotti realizzati dai Clienti con il supporto finanziario di Triodos: guide sul Turismo responsabile, alimenti biologici, articoli di artigianato.
La banca, fondata in Olanda e che conta ormai moltissime filiali in Europa, basa il suo lavoro quotidiano su un rapporto molto stretto con il Cliente, finanziando e monitorando con attenzione progetti orientati all’innovazione sociale e all’ecosostenibilità.
Una discreta pecca che ci duole riportare: Triodos è, come tutte le altre banche, protesa verso Imprenditori e Aziende già avviati e dunque solvibili. Non supportano, quantomeno al momento, nuovi progetti d’impresa… e questo ci piace poco.
The Severn Project è un’Impresa Sociale, basata sulla passione del suo fondatore e attuale Direttore: ci racconta, non senza comprensibile orgoglio, di aver iniziato nel 2010 con 2500£, e che ora l’Impresa è arrivata a fatturare quella stessa cifra ogni settimana.
Come si deduce dal loro motto, fanno molto più che coltivare la terra: offrono opportunità di lavoro ad ex tossicodipendenti e a persone affette da disabilità cognitive o psichiatriche.
Severn Project produce alimenti biologici (principalmente verdura ed erbe aromatiche) di buona qualità, e i suoi principali clienti sono i Ristoranti dell’area di Bristol. Non ricevono sussidi pubblici né grant: eppure, anche loro assumono solo un tipo “particolare” di lavoratori.
In un Regno Unito in cui, si stima, il 70% del cibo consumato è importato dall’Estero, Severn Project cerca di tornare a una tradizione, ormai quasi dimenticata, di produzione sostenibile e di un rapporto con la terra più diretto.
Il tutto non lontano dal Centro di Bristol: vedere per credere.
Arriviamo a The Park Centre: una grande struttura a Knowle, Bristol, estesa 15 acri (circa 60 Km2), gestita da un’Impresa Sociale.
Il quartiere, ci racconta la Direttrice, è di quelli difficili: devastato come tanti da una Corporation che, dopo aver occupato per molti anni il suolo e la Comunità con le sue operazioni, ha improvvisamente levato le tende lasciandosi dietro disoccupazione e disagio sociale.
The Park, scopriamo, nacque nel 2000 come hub di servizi per la Comunità di Knowle dopo la chiusura della Scuola Pubblica. Il Consiglio Comunale non sapeva davvero più che pesci pigliare: un drappello di “pazzi” decise di chiedere la gestione della struttura e, in pochissimo tempo, riuscì a renderla al contempo sostenibile e utile alla Comunità.
Con un spazio così grande a disposizione, la maggior parte delle risorse del Centro viene da affitti di privati: all’interno della struttura trovano spazio altre Imprese Sociali (spoiler: una andremo a visitarla tra poco), Charity, Professionisti, Negozi, Uffici.
Tutto questo serve a sostenere le risorse di utilità comune, come la caffetteria, il Training Center, la Palestra… e tanto altro ancora.
Uno degli incisi della Direttrice ci rimane piuttosto impresso: “ci siamo accorti che la gente, qui, prova grande vergogna della sua povertà. Si vergognano di farsi vedere in giro. Parte integrante del nostro lavoro è fare in modo che entrino qui nel Centro, che lo usino“. Per questo, ora che The Park può contare su 29 risorse, di cui 10 assunte a tempo pieno, esse sono per la stragrande maggioranza figli e figlie della devastazione di Knowle, membri della Comunità.
Vedere facce conosciute lavorare nel Centro, spinge le altre persone ad entrare, a salutare, a fare un giro, a vedere che succede.
Magari a fare un corso di cucina e trovare lavoro come Cuoca.
Magari a iniziare a dare pugni al sacco presso la Scuola di Boxe.
Arriviamo a Campus Skateparks… e qui l’atmosfera è decisamente particolare.
All’ingresso, sembra un negozio di abbigliamento e articoli per skater.
Ci addentriamo, e sembra una Cafeteria di quelle un po’ hipster.
Sullo sfondo, si intravede una piscina senz’acqua.
In realtà, come ci spiegano i due soci, Campus Skateparks è un mix di tutto: un’impresa sociale, fondata nel 2011, che ha come obiettivo sfruttare l’energia positiva e l’influenza dello skateboard per aiutare bambini e ragazzi svantaggiati, o a rischio di esclusione sociale, a sentirsi parte di una comunità, ad accettare la mentoriship di un adulto (tanto più perché è un ex skateboarder!).
La parte veramente impressionante è proprio la piscina:
Anch’essa abbandonata dal Consiglio Comunale, perché scarsamente usata dalla comunità e difficile da riconvertire ad altro uso.
Due pazzoidi ci vedono una pista da skateboard… e all’improvviso diventa un centro di aggregazione giovanile!
I prezzi sono decisamente affordable per i ragazzi della comunità: una membership di 5£ e un contributo di 2,5£ ogni volta che usano la piscina per le loro evoluzioni.
Morale della favola: tra le membership, gli incassi della Cafeteria e gli eventi per skateboarders, la struttura si sostiene in maniera autonoma, senza contributi pubblici, né grant.
Cammina cammina, arriviamo nel quartiere di Stokes Croft. Ce ne accorgiamo per la quantità (e qualità) di street art che inizia a incomberci addosso. C’è un palazzone rosso, ricco di murales su ambo i lati. Campeggia anche, a mo’ di cartellone pubblicitario, una scritta piuttosto interessante: “PROPERTY IS THEFT. NOBODY OWNS ANYTHING. WHEN YOU DIE, ALL STAYS HERE.” (George Carlin)
L’atmosfera è di quelle vagamente fricchettone… e così anche l’imprenditore sociale che ci accoglie, e ci guida attraverso un’altra storia di Comunità devastate, e faticosamente ricostruite. Ad esempio, ci spiega, il palazzo davanti cui ci accoglie era una fabbrica di ceramica. In seguito alla globalizzazione, con l’entrata in scena di competitor asiatici dai prezzi di produzione sensibilmente più bassi, la fabbrica fallì e tutti gli operai furono mandati a casa.
Una storia comune all’intero quartiere, abbandonato a sè stesso dalle Corporation quanto dalle Amministrazioni Comunali, e che gradualmente, compattandosi intorno ai propri palazzoni abbandonati, ha deciso di ricostruirsi un futuro a proprio modo, rifiutando ogni intervento esterno. Il loro slogan: WE MAKE OUR OWN FUTURE.
L’uomo, insieme alla sua famiglia e ad altri membri della Comunità, decise allora di comprarlo, quello stabile, piuttosto di vederlo cadere in altre mani: oggi è sede di un’Impresa Sociale che ospita molti artigiani del legno e della ceramica, riutilizzando spesso anche materiali di scarto per creare prodotti unici, locali. Il Gift shop è la naturale valvola di sfogo di questa creatività… eppure, nonostante la lavorazione artigianale, ci sorprende un po’ la standardizzazione: le loro tazze da caffè “PRSC” somigliano pericolosamente ad articoli usciti da una qualunque fabbrica cinese. E forse non è un caso.
“Una persona, fino all’età di 18 anni, in media vede 1 milione di pubblicità” ci dice, “noi abbiamo deciso di combattere questo abuso con le stesse armi“. Da qui i tanti murales, che scimmiottano cartelloni di tipo pubblicitario per veicolare messaggi politici, e non commerciali.
La lotta politica è parte integrante di questa Comunità. Dal “Think local“, slogan utilizzato per tentare di scacciare TESCO dal quartiere, all’aperto sostegno a Corbyn durante le ultime elezioni, la Repubblica Popolare di Stokes Croft si schiera apertamente verso l’autogoverno e l’economia sociale.
Noi di certo non ci sentiamo di addossare, come spesso accade da queste parti, tutte le colpe al mercato Globale o all’Europa… ci pare piuttosto che il sistema britannico, così endemicamente, profondamente, spietatamente capitalista, abbia giocato una parte più che rilevante.
Tuttavia, toccando con mano la devastazione, l’abbandono e la disperazione di intere Comunità, e con quanta fatica si stiano ricostruendo… cominciamo a capire un po’ meglio la Brexit, e come sia potuta accadere.
Rimaniamo a Stokes Croft, qualche metro più in là. La Hamilton House è un grande complesso, composto da una grande facciata e due altri omologhi edifici squadrati disposti perpendicolarmente ai suoi lati, che porta evidenti i segni architettonici dell’aver ospitato noiosissimi uffici di noiosissimi impiegati. Lo animano oggi decorazioni d’ogni tipo, e una comunità vibrante di artisti e creativi che al suo interno lavorano, s’incontrano, vivono.
La sua storia è, ancora una volta… molto britannica. Dopo essere stato abbandonato da Lloyds in seguito alla depressione economica del quartiere, il complesso di Hamilton House si ritrovò in stato di completa rovina, perdendo fortemente di valore. Tanto che, nel 2008, i proprietari Connolly and Callaghan invitarono un gruppo di amici a presentare un progetto per trasformare il complesso in un Centro per la Comunità. Nacque Coexist:
Coexist, dopo anni di duro lavoro, ospita oggi moltissime organizzazioni ed individui. Sfruttando al massimo il grande spazio a disposizione, si è reso accessibile a tutti i creativi uno spazio su misura dove crescere, confrontarsi, mescolarsi, contaminarsi. E quando parliamo di accessibilità, intendiamo quella economica: nel Coworking, una postazione costa 10£ al giorno o 150£ al mese… davvero poco, se consideriamo la miriade di progetti con cui è possibile venire in contatto, e soprattutto che siamo in Inghilterra.
Quando il business inizia a crescere, e con esso il bisogno di spazio, Coexist continua ad accompagnare i membri della sua Comunità, offrendo uffici e laboratori a prezzi veramente interessanti: 11£ per squarefoot, compresi i servizi.
La struttura stessa di Coexist, non solo il suo modello di business, è fluida, flessibile, e altamente partecipativa.
Tra i Progetti più interessanti ospitati dalla Hamilton House, vi segnaliamo The Bristol Bike Project e Coexist Community Kitchen. Ma sono talmente tanti che non avremmo spazio neanche per elencarveli tutti… in ogni modo, se passate da queste parti un giretto nel Gallery Space vi consigliamo di farlo. Chi espone qui, solitamente, cose da dire ne ha.
Non possiamo esimerci dal chiudere, come i ragazzi che ci hanno accompagnato nel nostro Tour della Hamilton House, su una nota piuttosto triste: a meno che non accada un miracolo, Coexist e i suoi coworker verranno molto presto sloggiati dal complesso.
Ricordate i proprietari dell’edificio, di cui parlavamo sopra? Quelli che così coscenziosamente avevano deciso di destinare la loro proprietà ad iniziative sociali per la comunità? Ebbene, dopo qualche anno si sono accorti che il Quartiere non è più degradato, che il mercato immobiliare qui è in impennata… e hanno deciso di vendere. Hamilton House vale attualmente sugli 8 milioni di sterline.
Coexist ha presentato due offerte per acquistare la struttura, ma a quella cifra (comprensibilmente) non riesce ad arrivare. L’ultima offerta, più che un freddo business plan, è un piccolo capolavoro: la trovate qui.
Ebbene, entrambe sono state rifiutate, e il periodo di prelazione è finito: presto le offerte da altri privati interessati fioccheranno… e Coexistdovrà nuovamente cambiare pelle, o sparire.
Così, nonostante tutto ciò che di bello abbiamo visto e ascoltato, in fin dei conti ce ne andiamo da Hamilton House mogi e disillusi quanto i due ragazzi che ci hanno accompagnato, e raccontato la loro situazione con lo sguardo basso e gli occhi lucidi.
A questo punto, torniamo al The Park Centre (ricordate? Punto 4). Piove, come sempre in questi giorni. Come forse saprete, la pioggia non è una grande novità, nel Regno Unito.
Ci attende il founder e attuale Direttore di 2nd chance.
Ci racconta innazitutto la sua storia personale, legata a doppio filo con quella della sua Impresa Sociale: dopo un’adolescenza turbolenta, in seguito a un grave infortunio di rugby, si trova a dover abbondanare lo sport per cercare lavoro, ritrovandosi a 20 anni a fare la Guardia carceraria. In prigione, si guarda intorno e vede tante, troppe facce conosciute… che lo chiamano per nome e si sorprendono non che lui sia lì, ma che sia lì a fare il secondino.
Capisce di essere molto, molto fortunato a non essere finito dall’altra parte delle sbarre, e gli viene un’idea: usare lo sport come veicolo per indirizzare quelle giovani vite, gettate in una cella per un peccato di gioventù e già dimenticate dalla Società, in una direzione diversa.
Ci racconta di come la sua Impresa sia nata, e cresciuta nel tempo: fu un grant offerto da una Fondazione privata, molto sostanzioso (5 anni) a permettergli di avviare il primo progetto, direttamente nel carcere, da cui si licenziò, e su quel grant, in 9 anni, riuscì a costruire un’Impresa in continua espansione, e, soprattutto, sostenibile. Come?
“Cambiare è difficile“, dice, “non cambiare è fatale“. La Mission, la Vision, le attività, ma soprattutto gli Amministratori di 2Chance sono cambiati vorticosamente nel corso degli anni. Non il target group: quello rimane. Tuttavia, per sopravvivere come un’Azienda Sociale, è stato necessario guardare e sperimentare differenti modelli e approcci.
Oggi, 2Chance si propone alle Amministrazioni Pubblici come una vera, efficace “alternativa” alla detenzione punitiva (cosa che spaventa non poco il sistema carcerario inglese, fortemente privatizzato). Come ricordavamo già al punto 1, con Bristol Together, un detenuto “istituzionalizzato” oltre a presentare un elevatissimo tasso di recidività, ha un costo altissimo per la Comunità, di cui è a tutti gli effetti un prigioniero e non un membro. Gli unici a guadagnarci, sono i Gestori delle Carceri Private.
Tramite lo sport, specialmente in età giovane, è possibile recuperare ad una vita attiva molti di quei giovani cui, spesso, non era mai stato offerto altro che miseria e repressione. 2Chance funziona: i loro ragazzi, in carcere non ci tornano quasi mai. Rientrano nella Comunità.
E loro sono bravi, bravissimi a dirlo a tutti i loro stakeholder: la comunicazione dell’Impatto Sociale è, davvero, qualcosa in cui abbiamo molto da imparare da loro.
Lasciamo The Park e andiamo a visitare un’altra fattoria molto particolare. Ci accoglie un grosso cane, un po’ nervoso e un po’ curioso nel vedere tutti questi sconosciuti nel suo territorio, e la Direttrice di Elm Tree Farm, una donna destinata a colpirci basso con passione, dedizione e professionalità incredibili, abbinate ad una flemma, forse una pace interiore, che lei non esibisce, non sfoggia, e soprattutto riesce a non far stonare con il caos della fattoria e col viavai dei suoi particolari lavoratori: uomini e donne affetti da gravi disabilità mentali.
Questo è un tipo molto particolare di Impresa Sociale: non distribuisce profitti, per dirne una.
Lei ci spiega perché: “richieste di commesse, dall’esterno, ne arrivano. Potremmo produrre più articoli nel nostro Laboratorio del legno, allevare più animali o coltivare più verdura nei campi, per venderli a chi ce li chiede. Significherebbe però chiedere ai nostri lavoratori qualcosa che non vogliamo:rinunciare alla soddisfazione personale di aver creato qualcosa, coi propri tempi e con le proprie possibilità, per produrre, produrre, produrre di più”.
Ricordati per chi lo fai. Questo è il messaggio.
Le persone che lavorano a Elm Tree Farm non sono lì per creare manufatti da vendere nel Gift Shop, o piantare verdure da vendere al Mercato.
Semmai, il contrario.
Il Laboratorio del legno serve a chi ci lavora, per offrirgli delle skill da acquisire, un senso di soddisfazione e autostima nel vedere un’opera compiuta. I campi sono lì per offrire a chi semina e raccoglie la routine confortevole delle stagioni. I cavalli, i maiali, i cani della fattoria sono lì per aiutare chi se ne prende cura ad entrare in contatto con le proprie emozioni… per fargli da “Pet Therapist”.
Elm Tree Farm è parte del Brandon Trust, una Fondazione di beneficienza che ha lo scopo di aiutare persone affette da autismo e da altri disturbi mentali. Da esso, da ormai 12 anni, riceve parte cospicua del suo budget (l’80%), ad esso distribuisce i profitti alla fine dell’anno. Profitti derivanti principalmente, come dicevamo, dalla vendita degli articoli nel Gift Shop, dei prodotti della terra al Mercato, e delle uova, particolarmente fresche, alla gente della Comunità. Una vendita che è pero mezzo, e non fine.
Senza l’aiuto della sua Fondazione madre, Elm Tree Farm probabilmente non potrebbe esistere. Non sarebbe sostenibile. Quantomeno, non così com’è.
La Direttrice, una donna capitata lì per caso, anni fa, per fare semplicemente il suo lavoro di giardiniere, e che non è più riuscita ad andarsene, arrivando a prendersi sulle spalle la direzione dell’intera fattoria, lo sa bene: Elm Tree Farm non è sostenibile.
Lo sa bene, perché è stata sua la scelta.
“Bisogna innanzitutto essere realisti. E poi ricordarsi per chi facciamo quel che facciamo.
Queste persone non possono sostenere i ritmi della produzione di massa, orientata al mercato.
Hanno bisogno di strappare le erbacce dall’orto per dieci minuti, e poi fissare il cielo per un’ora.
Hanno bisogno di tempo, non solo per imparare a usare un trapano o lavorare il legno, ma per assorbire le regole base di ogni posto di lavoro: ascolta attentamente le istruzioni, avvisa se non ti senti in grado di fare qualcosa, fai delle domande se non capisci”.
Questi discorsi ci toccano parecchio. Questa donna, dall’apparenza così pragmatica, così razionale, il suo target group l’ha messo nel cuore e non solo nel business plan. Lo vediamo, lo percepiamo, da come dirige i volontari nel lavoro quotidiano, da come la guardano i 50 lavoratori della fattoria (come un leader? come un capo? come una mamma? non si capisce bene, forse un po’ di tutto…), che in ogni istante del suo lavoro, ricorda per chi lo fa.
Attraversiamo il lungo ponte che congiunge Inghilterra e Galles, sorvolando il Canale di Bristol per giungere a Taurus Crafts.
Questa piccola Comunità, sita nel mezzo della Forest of Dea, ha deciso di fondarsi sulla creatività e sull’arte. Da 18 anni offre spazio a 14 Laboratori d’artigianato, gestisce un Gift Shop, una Cafeteria e uno spazio per le esposizioni.
Non solo: anche qui si offre lavoro a persone con disabilità mentali, e due di loro riusciamo a conoscerle da vicino: uno di loro è il Cuoco della Caffeteria dove pranziamo, che viene a salutarci e a chiederci se ci è piaciuto tutto. L’altro ha tempo e voglia di accompagnarci personalmente nella nostra visita, e di illustrarci palmo a palmo la Comunità di cui è tanto orgoglioso.
Si trovano entrambi a loro agio, si vede. Taurus Craft ha offerto loro un posto sicuro, dove costruire delle skill, e un’autostimache li aiuta ad “affrontare” ogni giorno gli occhi indiscreti di centinaia di visitatori.
L’integrazione tra artigiani e lavoratori con disabilità è totale: si tratta di una grande famiglia.
Il loro business model si basa sulle entrate della Cafeteria, sugli affitti dei Laboratori artigianali e dei piccoli negozi, e sui tanti, tantissimi eventi ed esposizioni artistiche organizzati per richiamare pubblico. Ci sembra, tutto sommato, piuttosto sostenibile: al momento, riescono ad occupare full time 8 risorse umane, più un’altra trentina part-time, con un turnover annuale di circa 300.000£.
Nota di colore: Taurus Craft paga l’affitto ad un Landlord, un Signore, che possiede la terra su cui è costruito. Il Lord è lui stesso un artista, dunque per il momento (al contrario di Coexist) sembra che questa Comunità sia al sicuro. Domani… chissà.
E ora, gentile amic* che ti sei letto tutta questa pezza… ecco il tuo premio:
Questo murales, che abbiamo avuto il piacere di vedere alla Hamilton House, è di Bansky. Si trova accanto alla Community Kitchen, si affaccia sulle sue finestre, la illumina, la ispira.
Di queste opere, Bristol è (era) piena… ultimamente si sta assistendo anche qui alla “rimozione” chirurgica della street art, e in special modo delle opere di Bansky. Lo scopo è chiarissimo: monetizzare. Vendendo, o chiudendo tra le quattro mura di un museo, un’opera d’ingegno pensata e realizzata per essere pubblica. Per stare sulla strada, appunto.
la nostra, lo sappiamo, è una professione borderline, poco conosciuta, poco indagata… poco garantita.
Da quest’anno, noi di Eutopia abbiamo deciso di provare a sopperire alla poca chiarezza sul mestiere dell’Europrogettista, lanciando la nostra prima indagine, mirata e studiata per costruire una base di dati da cui partire.
In modo che, quando si parla di Progetti Europei e, soprattutto, dei poveri cristi che li scrivono, si possa in futuro provare a dire qualcosa di fondato. In certi casi c’è chi apre bocca troppo spesso e a sproposito, e in altri si tace quando non si dovrebbe.
Il questionario è totalmente anonimo e richiederà 2 minuti del vostro tempo.
sei giovane, dinamico (o dinamica), avventuroso (o avventurosa).
Hai sentito parlare del Servizio Volontario Europeo, e non stai più nella pelle… vorresti partire domani.
Curiosando sul Database di EVS, ti sei imbattuto nella gloriosa Associazione Culturale Eutopia… e ci hai chiamato al telefono, o scritto una mail, o contattato su Facebook per sapere come funziona questo misterioso SVE, o EVS che dir si voglia.
Ho deciso di scrivere questo post per te, e per tutti i ragazzi come te, disorientati dal tanto, troppo “legalese” e dai tanti “si dice”, “forse”, “magari” di cui questo Programma Europeo è purtroppo circondato.
Ti spiego intanto, in due parole, come funziona l’EVS: almeno 1 ente d’invio e 1 di accoglienza devono presentare un progetto, in cui organizzano il servizio di 1-5 volontari. Per questo, spesso, quando la contatti direttamente l’organizzazione ospitante chiede ai partecipanti di “munirsi” di una Sending Organisation: senza un progetto approvato, non si parte!.
Altra cosa che ci viene spesso chiesta: l’iscrizione all’Associazione d’invio non è obbligatoria… ma spesso “più che consigliata”.
Il tutto nasce (non so se ti interessi, giusto per specificare) dal fatto che, nei progetti EVS, per le organizzazioni che inviano ci sono sempre pochissimi soldi, e i servizi per i partecipanti (selezione, colloquio, formazione pre-partenza) in qualche modo devono essere sostenuti.
Poi, è vero, qualcuno ci marcia, ma quello è un altro discorso 😉
Tutto ciò, nella pratica vuol dire che, per ogni progetto aperto, ci sono dei posti per i volontari già presi dagli iscritti dell’Associazione… ma spesso ci sono anche posti vuoti, che bisogna riempire.
Di seguito, trovi 10 risorse online selezionate da noi dove puoi trovare offerte per partire in EVS:
1. Se ti interessa partire subito, candidarti direttamente ai progetti aperti (ovvero già approvati) che trovi sul database può essere già una buona idea… però non aspettarti che al primo in cui ti candidi ti prendano. Insisti, prova con molti. Li trovi tutti qui: https://europa.eu/youth/EU/voluntary-activities/european-voluntary-service_en
Ti consiglio anche di monitorare questi gruppi Facebook (o simili, se ne trovi). Qui pubblicano le call for applicants quando cercano partecipanti per progetti già approvati (spesso last minute):
9. SALTO YOUTH è un mare magnum dove puoi trovare qualsiasi cosa (nell’ambito dei Progetti Europei, s’intende) … se non trovi un EVS, qui sicuramente puoi intanto rifarti con uno Youth Exchange (di solito una settimana o due). https://www.salto-youth.net/
10. Come ultima info, ti dico che sta nascendo un Programma simile allo SVE (il Corpo Europeo di Solidarietà). Non è ancora avviato, ma stanno già raccogliendo le adesioni per gli interessati: https://europa.eu/youth/solidarity_enen
Edit 07/07/2017:
Aggiungiamo anche questi due gruppi Facebook, riservati ai soli Italiani:
Cercheremo di aggiornare questa lista con le risorse utili in cui via via ci imbatteremo. Per segnalarcene altre, puoi sempre scriverci a info@associazioneeutopia.org
Non che abbia fatto tutta questa differenza per chi è venuto (tantissimi), o per chi da sempre lo organizza.
Ne ha fatta per noi.
Ci siamo sentiti parte di un tutto, di un movimento, : il Mattatoio Open Day non è soltanto una festa, anche se è una festa. Rappresenta l’impegno stabile di Associazionismo, attività commerciali e cittadinanza nel giocare un ruolo attivo nell’animazione culturale e sociale degli spazi. Un modello replicabile che andrebbe replicato.
Come forse saprete, i nostri scopi sociali non sono limitati né al Quartiere Vallemiano, né ad Ancona, né alle Marche se è per questo:
Portiamo via, da questa esperienza, la convinzione di essere sulla strada giusta: la nostra decisione strategica, quando (meno di un anno fa) abbiamo fatto nascere Eutopia, era stata di penetrare le Reti Associazionistiche esistenti sul territorio, supportandole con le nostre piccole competenze e nel frattempo imparando dai soci, dai volontari, dalle istituzioni coinvolte, tutto ciò si può imparare.
Ci abbiamo azzeccato.
Le reti territoriali sono, devono essere, il punto di partenza per costruire qualcosa di grande, di nuovo, di migliore, che coinvolga anche tutto il mondo, che è vasto e vario, che vive fuori dall’Associazionismo: i cittadini, innanzitutto, che devono essere atttori e spettatori. Il mondo del profit, che può e sa dare molto più che quattro soldi di sponsorizzazione, quando viene adeguatamente coinvolto.
E perché no, mettiamoci anche le Istituzioni.
Noi, dalla nostra piccola torre d’osservazione (l’Infopoint), dove distribuivamo agli interessati materiale informativo sulle varie Associazioni che compongono Casa delle Culture, abbiamo ricevuto molto più di quanto possiamo aver dato.
Tanti spunti e riflessioni per i nostri progetti futuri.
LEAP Summit 2017 è una Conferenza Internazionale di 3 giorni (11-13 Maggio 2017), che riunirà più di 2,000 giovani imprenditori, studenti, professionisti, leader di NGO, innovatori e game-changers.
Il focus principale sarà sui temi dell’innovazione, IT e tecnologia, imprenditorialità, e sulla condivisione di esperienze che cambiano la vita.
Il significato è racchiuso nel nome: LEAP significa LEARN (imparare), ENGAGE (coinvolgere), ACT (agire) and PROGRESS (progredire). Il Summit sarà una combinazione perfetta di educazione formale e non formale: presentazioni, eventi di networking, tavole rotonde, workshop e discussioni.
LEAP Summit riunirà innovatori da tutto il mondo nella splendida cornice della città croata di Zagabria, per analizzare e affrontare i temi più urgenti del nostro Villaggio Globale.
Che si dice di LEAP Summit?
“Una delle più belle conferenze a cui sia mai stato invitato!” [Andrew Grill, IBM, speaker a LEAP Summit 2016]
“Per me, da giovane imprenditore, LEAP Summit è stata un’esperienza incredibile! Ho ricevuto tantissimi feedback costruttivi, ho costruito molti nuovi contatti e sviluppato nuove idee per il mio business. Zagabria è fantastica in primavera… me ne sono innamorato!” [Peter, partecipante a LEAP Summit 2016]
“Un evento davvero ben organizzato… c’era un’energia incredibile!” [Seema Aggarwal, Disney, speaker a LEAP Summit 2016]
Per consultare il programma, la lista degli speaker e tanto altro… andate qua: http://www.leapsummit.com/
EUTOPIA, in qualità di partner ufficiale di LEAP SUMMIT, vi offre 10 euro di sconto sull’Early Bird.
La promozione terminerà il 1 Aprile… dunque sbrigatevi!
Per ricevere il Codice Promozionale, scriveteci a info@associazioneeutopia.org
Fa strano raccontare l’Associazione di un’Associazione?
E perché mai? L’Associazionismo del resto vive di Associazioni, anche di idee.
Ieri il Consiglio Direttivo dell’Ass. Casa delle Culture di Ancona (Via Vallemiano 46) ha deliberato l’ingresso di EUTOPIA all’interno del consorzio. Potrete dunque trovarci anche all’Ex Mattatoio, fucina nel corso di questi anni di eventi e progetti interessantissimi, a cui non vediamo l’ora di poter portare anche il nostro piccolo contributo.
Siamo molto contenti di essere stati accettati in questa grande famiglia, e del resto ovunque c’è cultura, ovunque c’è condivisione di spazi e di idee… ci vogliamo essere anche noi.
Ieri abbiamo ricevuto la bella notizia: siamo stati accreditati dall’Agenzia Nazionale Giovani per Coordinare e agire da Sending organization nei progetti di Servizio Volontario Europeo.
Ciò significa che a breve (brevissimo) cominceremo a scrivere progetti SVE e a mandare un po’ di ragazzi in giro per l’Europa…
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